Storia

«Consa, che è arcivescovato et in altri tempi fu Città grande, appena hora conserva la chiesa metropolitana per la celebratione delle fontioni arciepiscopali, essendo nel resto desolata. Gl'abitanti son pochi [...] La chiesa è assai bella, ove sono le sepolture degli antichi Signori Gesualdi conti di Consa [...] Il territorio è grande e bello a meraviglia, ma per carestia d'huomini e bovi non è coltivato».

Nel 1613, con la morte degli ultimi due discendenti maschi, la famiglia Gesualdo si estinse. I feudi furono acquistati da Nicolò Ludovisi, principe di Piombino e marito di Isabella Gesualdo, ultima erede della grande casa, morta nel 1629. Il principe Ludovisi lasciò erede il figlio Giovan Battista che però, caricatosi di debiti, fu costretto a vendere gran parte del proprio patrimonio.

Alla fine del Seicento, nel giro di pochi anni, la famiglia Mirelli acquistò da Giovan Battista Ludovisi, per 45.200 ducati, alcuni feudi che, secondo una perizia del 1635, valevano oltre 100.000 ducati. In particolare la terra di Calitri era stata valutata 68.166 ducati, Teora 13.715:2:10 ducati, Conza 13.761:2:16 e le giurisdizioni di S. Andrea e Santomenna 4.420 ducati. Le trattative di compravendita furono lunghe e laboriose per la diffidenza che il principe Ludovisi nutriva verso i nuovi acquirenti, diffidenza alimentata dagli arcivescovi di Conza, in conflitto di interessi con la famiglia Mirelli per la giurisdizione criminale dei casali di S. Andrea e Santomenna. Venditore e compratore ricorsero all'opera di architetti, notai e tavolari per stimare con esattezza il valore delle loro proprietà e solo dopo numerosi processi si giunse a un accordo definitivo.

A complicare le cose, costringendo gli interessati a rifare molte perizie, intervennero i terremoti che si successero alla fine del secolo, tra il 1688 e il 1694. Quest'ultimo in particolare ebbe effetti disastrosi nei piccoli centri dell'Alta Irpinia; ecco come lo racconta un cronista del tempo:

«La diocese di Conzo ha patito notabilmente, potendosi dire, senza esageratione, che quel monsignor arcivescovo Caraccioli sia divenuto pastore senza ovile, per esser rimaste la maggior parte delle sue terre a lui sottoposte distrutte da questa disgratia [...] Conza può dirsi che più non vi è, e la sua chiesa maggiore di S. Giberto non si conosce ove era».

Nel 1696 Giovan Battista Ludovisi chiese al Sacro Regio Consiglio una consistente riduzione delle tasse da pagare sulle due città di Conza e Venosa, che a causa del terremoto non fornivano più alcuna rendita e delle quali era già stato costretto ad alienare la «tenuta» a favore del duca di Lavello; il principe sperava di ricavare in questo modo almeno i soldi necessari per riparare il castello di Venosa, «di gran magnificenza», e di superare col tempo le difficoltà finanziarie. Invece pochi mesi dopo anche Conza divenne proprietà di Francesco Maria Mirelli, che l'acquistò dai creditori del principe Ludovisi. Donatantonio Castellano, nella Cronica conzana, un manoscritto terminato nel 1691, aveva descritto il vecchio Francesco Mirelli come «un uomo di bassissimi natali», il quale

«nella dilapidatione che fe' anni sono Giovanni Battista de Ludovisio si comprò per un tozzo di pane molte terre, fra le quali Calitri [...] Teora [...] Paternò e le giurisdizioni criminali di queste terre di S. Menna e S. Andrea con diverse frodi ed inganno [...] e tuttavia va trattando comprare Conza, però essendo questo denaro acquistato malamente, e forse con usure e inganni, si verificherà quel detto della scrittura: non gaudebit tertius heres».

La profezia colse nel segno, poiché tre anni più tardi Francesco Mirelli perì, insieme con la maggior parte della sua famiglia, travolto nel crollo del castello di Calitri; alla fine comunque, nonostante l'opposizione dei conzani, Francesco Maria Mirelli, figlio di Carlo e nipote del vecchio Francesco, divenne proprietario della città.

Nella cattedrale il terremoto del 1694 lasciò in piedi solo il coro, l'altare maggiore con il sepolcro di Sant' Erberto, arcivescovo e protettore della città, e alcune cappelle. La cappella gentilizia dei Gesualdo fu scoperchiata e i marmi che decoravano la cappella e i sepolcri di Costanza di Capua (m. 1484), del figlio Luigi III (m. 1524) e di altri componenti della famiglia furono impiegati per ricostruire l'altare maggiore e quello, dedicato a Santa Maria di Loreto, della famiglia Mirelli. La cattedrale fu ricostruita a spese dell'arcivescovo Gaetano Caracciolo (1682-1709) e, dopo il terremoto del 1732, fu rifatta per volere di monsignor Giuseppe Nicolaj (1731-1758).

indietro

torna all'inizio del contenuto