Storia
La cattedrale, intitolata alla Vergine Assunta, era sorta sui resti di una basilica di età romana, della quale aveva mantenuto l'impianto a tre navate, con la navata principale, più alta delle laterali, conclusa da un'abside semicircolare. Nella cripta della cattedrale, secondo la tradizione, erano stati deposti i corpi di diversi santi. La chiesa, giudicata “di buon disegno” e “assai bella”, tra il XV e il XVI secolo accolse le sepolture dei conti di casa Gesualdo, che costruirono all'estremità della navata destra la loro cappella gentilizia, con l'altare privilegiato intitolato a Santa Maria delle Grazie: la cappella era ornata da finissime sculture in marmo, tra cui quattro bassorilievi raffiguranti le virtù cardinali.
Nel 1507 Luigi III Gesualdo, dopo aver prestato atto di sottomissione al re spagnolo Ferdinando il Cattolico, riebbe i feudi che, dopo la sua ribellione ai re aragonesi, gli erano stati confiscati; in cambio dovette corrispondere un sostanzioso indennizzo, che per la città di Conza ammontava a 109 ducati.
Il Cinquecento fu il secolo di maggior splendore per i Gesualdo i quali, una volta reintegrati nel possesso dei loro beni, con un'abile politica di alleanze e matrimoni riuscirono ad accrescere il patrimonio e la potenza della famiglia. Nel 1543 acquistarono il feudo di Venosa e nel 1561 Luigi IV, dopo il matrimonio del figlio Fabrizio con la nipote di papa Pio IV, ricevette il titolo di principe. Il fratello di Fabrizio, Alfonso, a soli 21 fu nominato cardinale e nel 1563 divenne arcivescovo di Conza, primo gradino di una formidabile carriera che lo proiettò ai vertici della gerarchia ecclesiastica, prima come decano del Sacro Collegio e poi come arcivescovo di Napoli.
Tra il Cinquecento e il Seicento furono arcivescovi di Conza anche due zii di Alfonso, Troiano e Camillo, e il nipote Scipione; tutti costoro, pur risiedendo nella propria diocesi, scelsero come abitazione il lussuoso castello di Calitri.
Le fortune di casa Gesualdo ebbero riflessi positivi anche per la città di Conza, che vide migliorare il proprio tenore di vita. Le «Informazioni sulle entrate» del feudo attestano per tutto il Cinquecento una rendita tra i 350 e i 450 ducati.
Ad esempio nel 1539 il feudo rendeva 417 ducati; le voci principali del bilancio erano l'erbaggio di Caperroni, i «terragij» (terratichi) di grano e orzo, il mulino, la bagliva, la fida dei buoi, ma si producevano anche olio, formaggio, vino ed erano state introdotte nuove colture come il lino e i legumi. Nel 1585 le entrate del principe erano l'erbaggio di Caperroni, la mastrodattia, l'affitto del giardino del castello, il forno, il mulino «della macchia», lo jus degli aratri, il «compasso di Conza, Andretta, Sant'Andrea e altri luochi», la bagliva, la fida delle pecore e poche altre cose per una rendita complessiva di oltre 600 ducati, più 900 tomoli di grano, 129 tomoli di orzo e ancora tre pollastri, otto galline, sei «pese di caso e ricotta», otto «pignatelle» d'olio e 16 «ayni».
I censimenti focatici disponibili vanno da 153 fuochi per il 1532 a 188 fuochi nel 1545, per poi diminuire a partire dal 1561 (136 fuochi), fino a raggiungere il minimo nel 1669 (36 fuochi). La diminuzione di popolazione fu causata anche dai due terremoti del 1561 e del 1627; quest'ultimo in particolare dovette arrecare molti danni alla città, sebbene non distrusse la cattedrale, come testimonia la seguente descrizione, scritta nel 1637: